Lettere da D Donna da La Repubblica
Non è alla scienza che è opportuno chiedere cos'è l'omosessualità
Scrive Paolo Rigliano in "Amori senza scandalo" (Feltrinelli): "Lesbiche e gay devono poter esercitare diritti e doveri in ogni contesto in cui si concretizzano bisogni, affetti e valori"
Risponde Umberto Galimberti
Foto di Silvia Saleri
Vorrei che mi spiegasse il problema dell'omosessualità. Sui diritti e sulle mancate leggi che regolano i rapporti tra persone omosessuali tutti ne parlano, ma la scienza come ha risposto a questo problema? La letteratura è piena di autori omosessuali, ma se per la Chiesa l'omosessualità è una malattia, se per la psicoanalisi è il risultato del complesso edipico, la scienza ha dato spiegazioni a questo problema, o non è di competenza della scienza ma della medicina? Le confesso che non ho le idee chiare sulle cause. So solo che il problema deve essere affrontato dal legislatore, ma senza retorica e con la chiarezza che il problema necessita. Nerio Zucchini
Lei chiede alla scienza di dire una parola definitiva sull'omosessualità per fare un po' di chiarezza tra l'ipotesi psicoanalitica che la riconduce a un mancato supermento del complesso edipico e l'ipotesi della Chiesa che, a suo dire, la considera una malattia. E tutto ciò perché solo una chiara definizione scientifica può consentire al legislatore di esprimersi "senza retorica e con chiarezza". La fiducia nella scienza è sempre da incoraggiare, alla sola condizione di non scambiare per "scientifico" un insieme di pregiudizi di cui, nel caso dell'omosessualità, è stata vittima anche la scienza, così come lo è stata la psicoanalisi, la religione e il diritto, colpevoli tutti di aver affrontato il problema dell'omosessualità esclusivamente sul piano sessuale, trascurando, come scrive Paolo Rigliano, la componente "intellettuale, emotiva, cognitiva e comportamentale" che lega due persone dello stesso sesso. E mentre nelle relazioni eterosessuali queste componenti vengono prese in considerazione e proprio per questo si parla di amore, nel caso delle relazioni omosessuali queste componenti vengono del tutto trascurate, per cui a proposito degli omosessuali, non si parla mai di amore, ma solo di sesso. In questo modo di procedere, con due pesi e due misure, già si annida il pregiudizio negativo nei confronti degli omosessuali. Un pregiudizio che già denunciava Platone nel Simposio (182 d) in questi termini: "Dove fu stabilito che è riprovevole compiacere agli amanti, ciò fu a causa della bassezza dei legislatori, del dispotismo dei governanti, della viltà dei governati". In questo modo Platone lega opportunamente la condanna dell'omosessualità a un problema di democrazia, a cui forse noi, a causa del perdurare dei pregiudizi, non siamo ancora giunti. Ma perché, fatte salve le riprovevoli eccezioni contro le quali Platone rivolge la sua condanna, l'omosessualità sia nella cultura greca sia in quella romana non costituivano un problema? Perché l'omosessualità, termine del tutto assente nella cultura greca e romana, non era intesa soprattutto e innanzitutto come "atto sessuale", ma come "amore tra persone" ben segnalato dal termine impiegato da Platone: "charízesthai erastaîs", che significa "compiacere gli amanti". Quanto alla religione, fino al XII secolo la Chiesa non si pronunciò nei confronti dell'omosessualità con un'esplicita condanna. Ne è prova l'epistolario che Sant'Anselmo dedicò al suo amante Gilberto. Solo con le crociate, nel clima di intolleranza che si venne a creare contro i musulmani, gli ebrei e gli eretici, furono coinvolti anche gli omosessuali. Ma la condanna definitiva venne proprio dalla scienza che, partendo dal concetto che gli organi sessuali servono alla riproduzione, definì "patologica" ogni forma sessuale che deviasse da questo scopo. In questo modo l'omosessualità, che per la religione era un peccato, con la scienza divenne una malattia, che la psicoanalisi cercò di spiegare con il mancato superamento del complesso edipico, grazie al quale le pulsioni si organizzano nel giusto "verso", e ogni devianza non può che essere "per-versione". Queste sono le peripezie a cui andò incontro l'omosessualità a opera della religione, della scienza e della psicoanalisi per averla visualizzata solo dal punto di vista dell'atto sessuale, senza nessuna considerazione per le componenti intellettuali, emotive, cognitive e comportamentali che legano due persone nelle relazioni d'amore.
Lei chiede alla scienza di dire una parola definitiva sull'omosessualità per fare un po' di chiarezza tra l'ipotesi psicoanalitica che la riconduce a un mancato supermento del complesso edipico e l'ipotesi della Chiesa che, a suo dire, la considera una malattia. E tutto ciò perché solo una chiara definizione scientifica può consentire al legislatore di esprimersi "senza retorica e con chiarezza". La fiducia nella scienza è sempre da incoraggiare, alla sola condizione di non scambiare per "scientifico" un insieme di pregiudizi di cui, nel caso dell'omosessualità, è stata vittima anche la scienza, così come lo è stata la psicoanalisi, la religione e il diritto, colpevoli tutti di aver affrontato il problema dell'omosessualità esclusivamente sul piano sessuale, trascurando, come scrive Paolo Rigliano, la componente "intellettuale, emotiva, cognitiva e comportamentale" che lega due persone dello stesso sesso. E mentre nelle relazioni eterosessuali queste componenti vengono prese in considerazione e proprio per questo si parla di amore, nel caso delle relazioni omosessuali queste componenti vengono del tutto trascurate, per cui a proposito degli omosessuali, non si parla mai di amore, ma solo di sesso. In questo modo di procedere, con due pesi e due misure, già si annida il pregiudizio negativo nei confronti degli omosessuali. Un pregiudizio che già denunciava Platone nel Simposio (182 d) in questi termini: "Dove fu stabilito che è riprovevole compiacere agli amanti, ciò fu a causa della bassezza dei legislatori, del dispotismo dei governanti, della viltà dei governati". In questo modo Platone lega opportunamente la condanna dell'omosessualità a un problema di democrazia, a cui forse noi, a causa del perdurare dei pregiudizi, non siamo ancora giunti. Ma perché, fatte salve le riprovevoli eccezioni contro le quali Platone rivolge la sua condanna, l'omosessualità sia nella cultura greca sia in quella romana non costituivano un problema? Perché l'omosessualità, termine del tutto assente nella cultura greca e romana, non era intesa soprattutto e innanzitutto come "atto sessuale", ma come "amore tra persone" ben segnalato dal termine impiegato da Platone: "charízesthai erastaîs", che significa "compiacere gli amanti". Quanto alla religione, fino al XII secolo la Chiesa non si pronunciò nei confronti dell'omosessualità con un'esplicita condanna. Ne è prova l'epistolario che Sant'Anselmo dedicò al suo amante Gilberto. Solo con le crociate, nel clima di intolleranza che si venne a creare contro i musulmani, gli ebrei e gli eretici, furono coinvolti anche gli omosessuali. Ma la condanna definitiva venne proprio dalla scienza che, partendo dal concetto che gli organi sessuali servono alla riproduzione, definì "patologica" ogni forma sessuale che deviasse da questo scopo. In questo modo l'omosessualità, che per la religione era un peccato, con la scienza divenne una malattia, che la psicoanalisi cercò di spiegare con il mancato superamento del complesso edipico, grazie al quale le pulsioni si organizzano nel giusto "verso", e ogni devianza non può che essere "per-versione". Queste sono le peripezie a cui andò incontro l'omosessualità a opera della religione, della scienza e della psicoanalisi per averla visualizzata solo dal punto di vista dell'atto sessuale, senza nessuna considerazione per le componenti intellettuali, emotive, cognitive e comportamentali che legano due persone nelle relazioni d'amore.
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